Ricetta e recensione, senza spoiler, del prossimo film che andrete a vedere (perché non potete non farlo, fidatevi).

Ingredienti:

  • 75 % fanservice.
  • 25 % film.

Sbattete il tutto con la frusta di un regista che sa fare il suo mestiere, spennellate con la glassa di un montatore che sa mantenere il ritmo lasciando il giusto respiro alle scene e avete un bel film all’altezza dei primi due.

Intanto due parole su quel che hanno significato i due film originali per me: sono cresciuto tra gli anni ’80 e ’90 imparando quasi a memoria ogni battuta dei due film (sì, anche il secondo). Ho consumato le VHS nel salotto dei miei genitori immaginandomi spigliato e irriverente come Peter Venkman; ho costruito trappole di cartone, fucili protonici coi bastoni recuperati nel bosco, dispositivi di stoccaggio usando enormi scatoloni; a carnevale mi sono ricoperto di schiuma dalla testa ai piedi come se davvero fossi stato testimone al più grande evento paranormale interdimensionale dopo l’esplosione di Tunguska del 1909. Insomma per farla breve penso di avere la patente per dire la mia da fan di lunga data.

Neoooooowwwww Neoooooowwwww Neoooooowwwww

Il nuovo Ghostbusters Afterlife (o Legacy, come dir si voglia) mi è piaciuto. Un sacco.

È fan service? Sì. Tanto. Sarebbe imbarazzante provare a negarlo. Le gomitatine e le strizzatine d’occhio sono così palesi e così frequenti che da un momento all’altro tutto potrebbe trasformarsi in una fiera del disagio. Ma non capita mai.

Per tutto il film la sceneggiatura riesce a mantenere il giusto equilibrio: l’atmosfera che si respira è quella di una serata passata a ridere e scherzare con dei vecchi amici che non si vedono da anni ma con i quali si recupera immediatamente la complicità e il sorriso nostalgico rivolto al passato.

Questo non era sicuramente l’unico modo di affrontare l’eredità dei primi due film per creare un nuovo prodotto nell’immaginario dei Ghostbusters, ma di sicuro è un metodo che ha funzionato, e ha funzionato perché ha saputo essere rispettoso e onesto.

Rispettoso perché non avanza pretese di ringiovanire il genere, di rivisitare qualcosa in chiave moderna, di reimmaginare qualcosa a cui molti di noi siamo affezionati. Vuole raccontare una storia, divertire, stuzzicarci nella nostra nostalgia. E lo fa dannatamente bene.

È onesto perché è una commedia che gioca con qualcosa di prezioso per una buona fetta del pubblico e lo fa con un sacco di fan service. Ma proprio tanto. Ma non lo fa mai in maniera gratuita, anzi: senza scendere nel dettaglio e evitando ogni spoiler si può dire che lo stesso soggetto sul quale hanno sviluppato la sceneggiatura è fan service. Non lo si vuole nascondere. È un tributo (al grande immaginario condiviso e a Ivan Reitman), una sorta di strano punto di incontro tra la grande produzione hollywoodiana e il concetto più alto di fan fiction nella sua accezione di qualcosa scritto da chi amava i primi due film e che, in qualche modo, parla e racconta di quell’amore anche attraverso le battute e i cameo.

Questo è un film di natale. Anzi, è il regalo di natale che trovi sotto l’albero. Quando lo scarti nella scatola trovi i giocattoli ispirati ai film che ami e ai tuoi beniamini. Non sono l’originale, ma sono i complici dei tuoi giochi e delle tue fantasie.

Ovviamente non è una formula che può funzionare sempre ma qui lo fa egregiamente assolvendo all’unico vero compito che un film di questo genere dovrebbe avere: farti divertire e sognare. Farti provare l’emozione di guidare la ecto-1. Farti venire la pelle d’oca quando senti accendersi lo zaino protonico. Noi ragazzi cresciuti negli anni ’80 e ’90 siamo i veri protagonisti di questo film.

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